PERCHÉ HO SCRITTO UN LIBRO SULLA TOMOGRAFIA INDUSTRIALE

Quando mi chiedono perché ho scritto insieme a Paolo Pollacino un libro sulla tomografia industriale, il mio primo pensiero va ad Arturo Gilardoni.

Arturo Gilardoni oltre ad essere il fondatore dell’azienda da cui abbiamo scelto di acquistare la cabina tomografica da 450 kV presente in MotivexLab, è stato uomo di scienza, grande imprenditore e attento divulgatore.

Si dice che avvolto nel camice bianco, scendesse nei reparti della sua Gilardoni per spiegare agli uomini che lavoravano per lui il perché di ciò che facevano.

 

Ecco un breve passo tratto da “NOTAGIL“, il periodico di casa Gilardoni, nel numero 1 del 1987, scritto dai suoi uomini,  i GIL MEN, in occasione della morte avvenuta il 23 febbraio 1987, dell’Ingegnere.

(…) non dimenticheremo quella figura tanto famigliare che, nella bianca vestaglia da lavoro, Sua unica ed amata divisa, passava tra noi a portare il Suo cordiale saluto ed a ricordarci la Sua continua, completa disponibilità. Lei, uno di noi, sempre pronto a sedersi a fianco di chiunque avesse delle difficoltà onde mostrargli la soluzione del suo problema, spiegargli il “perché”, il fine ultimo del suo lavoro e perciò, motivandolo, valorizzarne la prestazione.

 

Arturo Gilardoni alla scrivania del suo studio

Arturo Gilardoni alla scrivania del suo studio (© immagine da NOTAGIL, vol. 23, n.1, 1987, p.1)

DALLA SCOPERTA DEI RAGGI X AL PRIMO TOMOGRAFO

Di quest’uomo, e degli uomini che, pionieri della scienza, avevano la missione di vedere dove gli occhi non arrivano, abbiamo scritto nel primo capitolo del libro Tomografia industriale“.

Eccone un estratto:

Il futuro, innanzitutto, è fatto sempre di persone. Come Arturo, il genio italiano la cui ombra oggi si proietta su di noi, giovani piemontesi di MotivexLab, dallo storico santuario tecnologico lombardo creato da un pioniere assoluto, nato e cresciuto a Mandello del Lario. Che bel salto: dai laghetti di Avigliana fin lassù, sulle rive del manzoniano Lago di Como.
Laboratori, libri e studi che avrebbero aiutato il mondo a prendere letteralmente il volo.
Da Mandello, la mente di Arturo già volava lontanissimo, fino a Gießen, in Assia, dalle parti di un altro genio (tedesco) di nome Wilhelm Conrad. A sua volta, a Wilhelm guardava il francese Paul, altro scienziato, come il neozelandese Ernest.
Cosa stavano combinando, tutti insieme?
Ma niente: stavano solo per far cambiare passo al pianeta, aiutandolo a mettersi a correre più in fretta. Succedeva oltre cent’anni fa. E tutto, per merito di un imprevisto.

Si chiama: conoscenza casuale. Se parti da Roma per andare a Milano, magari succede che ti trovi nel bel mezzo di Firenze. Così ti guardi attorno e dici: caspita, che bello.

La strana Firenze di Wilhelm Conrad Röntgen, ancora oggi, ha un nome familiare: raggi X. Da fisico, stava trafficando con l’elettricità. Era l’8 novembre del 1895. Quell’anno, l’Europa ribolliva: i Michelin testavano i primissimi pneumatici, Marconi s’inventava nientemeno che la radio. A Parigi, i fratelli Lumière proiettavano l’anteprima mondiale del cinema. E Alfred Nobel dettava il testamento più famoso della storia, destinato a premiare i maggiori talenti dell’umanità. Personaggetti come Wilhelm, per esempio, alle prese coi suoi esperimenti.

Della serie: che succede, se emetto scariche elettriche, attraverso del gas rarefatto, in un cilindro? Strano aggeggio, il Tubo di Crookes-Hittorf. Quel giorno, il cilindro era pure foderato da una bella carta nera. Ed è lì che apparve, magicamente, la sorpresa: la fluorescenza inaspettata. Merito del cianuro di bario platino, presente casualmente vicino al tubo. Ebbene: emetteva luce.

Wilhelm Conrad Röntgen guardò l’ora: stava finendo il pomeriggio. Un venerdì speciale, destinato a fare storia. Era il giorno in cui s’erano scoperti i raggi X.

Come funzionano? Basta attivare un fascio di fotoni: dalla sorgente, raggiungono un recettore. Nel mezzo, si colloca l’oggetto-cavia, da analizzare. Gli atomi dell’oggetto interferiscono in modo diverso, con il passaggio dei fotoni: solo alcuni di essi raggiungeranno il recettore. E sono proprio questi – quelli che arrivano a destinazione – a restare impressi su una pellicola, riproducendo un’immagine in negativo: la nostra beneamata radiografia.

Come nel più spettacolare dei passaparola, dai raggi X si arrivò rapidamente ai raggi Gamma. Nel 1900, a scoprirli fu il chimico e fisico Paul Villard, studiando le radiazioni emesse dal radio. Tre anni dopo, il collega Ernest Rutherford le distinse in Alfa e Beta.

Oggi sappiamo tutto dei raggi X e dei loro cugini, i Gamma. E siamo in grado di eseguire in sicurezza qualsiasi radiografia. In entrambi i casi – X o Gamma – il meccanismo è analogo: è sempre una storia di fotoni. Sono loro a rivelare l’invisibile. Con un solo limite: la bidimensionalità. La stessa differenza che passa tra un quadro e una scultura.

Ce n’era abbastanza, già cent’anni fa, per trasformare in una specie di vulcano l’altro grande protagonista di questa storia, il genio di Mandello del Lario: Arturo Gilardoni.

Missione: mettere in pratica i dettami dei colleghi Wilhelm, Ernest e Paul. Studiare, investigare. Per offrire al mondo qualcosa di pratico, di rivoluzionario e maneggevole: tecnologia avanzata, allora avveniristica e impensabile.

Primo brevetto, il metalloscopio. Correva l’anno 1932. Il DNA dei metalli “letto” attraverso l’esame delle particelle magnetiche, pietra miliare per i CND (controlli non distruttivi) a disposizione dell’industria – tuttora il pane quotidiano anche per noi, di MotivexLab.

Eventi memorabili, per l’inventore Arturo: l’incontro con Enrico Fermi, nel 1937, e l’anno dopo il prestigioso Premio Leonardo da Vinci, per lo sbalorditivo Generatore di lampi di raggi X.

Da allora, una marcia trionfale. Brevetti e applicazioni, macchinari venduti in tutto il mondo, in tutti gli ospedali. Bastava il nome: Gilardoni.

Facile, lavorare coi veri campioni. E non è un caso che provenga proprio da Mandello anche il gioiello recentissimo di MotivexLab, la nostra potentissima tomografia industriale: il segreto del bunker rosso.

Elisabetta Ruffino e Paolo Pollacino davanti alla cabina rossa

Elisabetta Ruffino e Paolo Pollacino davanti alla cabina rossa della Tomografia Gilardoni di MotivexLab

E’ lei a svelare – in modo tridimensionale – qualsiasi punto dell’oggetto che si voglia esaminare, “illuminandone” l’interno, ruotandolo, capovolgendolo e osservandolo da qualsiasi lato; sezionandolo – ma senza neppure sfiorarlo.

La tomografia computerizzata è infatti l’ultima frontiera nella tecnica di indagine radiologica. In modo assolutamente esclusivo, fornisce una diagnostica speciale, digitale, visiva: riproduce sia immagini in sezione (la tomografia, appunto) che immagini tridimensionali (“l’anatomia” dell’oggetto), create da un’analisi istantanea generata al computer. In origine, il meccanismo è sempre lo stesso: l’attenuazione di un fascio di raggi X mentre passa attraverso la sezione di un corpo, di un oggetto. A lavorare sono ancora loro, i benemeriti fotoni. Materia densa, svelata dalla luce.

A concepire la metodica avvolgente, “circolare”, alla base della tomografia computerizzata fu un ingegnere inglese, Godfrey Hounsfield. Era il 1967 quando realizzò la prima apparecchiatura TAC insieme a un fisico sudafricano, Allan Cormack, nel Regno Unito. Due sperimentatori eccezionali, anche loro: per questo, nel 1979, si aggiudicarono il Premio Nobel per la Medicina. Grazie al loro tomografo, il corpo umano non avrebbe avuto più segreti.

Dalla medicina all’industria, il passo non è stato brevissimo. Ma oggi, l’alta precisione non può più a fare a meno della tomografia industriale. Grazie al sistema digitale del suo scanner, la “radiografia 3d” esplora qualsiasi “nascondiglio”. Tutto si scopre subito, in profondità, attraverso l’occhio infallibile del tomografo. E’ come penetrare un’altra dimensione, che ha a che fare direttamente con la creazione. Infatti è un supporto imprescindibile per la stampa 3D, a cui si va convertendo a vista d’occhio la produzione dell’industria 4.0.

Insomma, nel nostro bunker rosso si può fare proprio tutto: anche lingegneria inversa. L’esame dell’oggetto è così preciso che lo si può mappare e riprodurre, ricostruendolo perfettamente. Si ricavano le quote dimensionali anche dove non si può arrivare con una macchina di misura tradizionale e un tastatore.

Magico, il bunker rosso? Sì, certo. E ancora più magico, in fondo, è il pensiero lungo che l’ha portato qui, con noi, a partire dai primordi di questa straordinaria avventura della conoscenza umana.

Assistenti Tecnici Personali MotivexLab

Gli Assistenti Tecnici Personali MotivexLab durante un’analisi tomografica

Prima Röntgen, con la sua “sorpresina” luminescente. Poi Rutherford e Villard. E soprattutto lui, il grande Arturo Gilardoni.

E’ come abitare un pezzo di storia, capisci? Un capitolo importante del nostro progresso di homo faber. E’ emozionante, farne parte. Ti fa capire quanto siamo interconnessi, quanto dipendiamo da chi ci ha preceduti. E quanto si può fare, credendoci, per maneggiarlo nel migliore dei modi, questo autentico tesoro, mettendolo a disposizione di chi lavora, di chi ogni giorno è impegnato a far crescere il sistema Italia.

E tutto questo, lo possiamo fare grazie a un partner d’eccezione: lo specialista del futuro chiamato Gilardoni.

 

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  • fare reverse engineering per ottenere il modello geometrico da un oggetto reale
  • monitoraggio in 3D di qualsiasi tipo di manufatto anche in additive manufacturing
  • procedere alla failure analysis senza danneggiare il componente
  • avere un controllo dimensionale di volumi interni ed esterni non raggiungibili da altri strumenti

Inoltre non ti nego il piacere di raccontare la storia dei raggi X e di Arturo Gilardoni, nonché la vera ragione per cui abbiamo scelto un’azienda italiana come la Gilardoni SpA per dotarci della cabina tomografica da 450 kV e dare un servizio di tomografia rapida in 24 ore ai nostri clienti.

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